L’importanza della conoscenza e dell’elaborazione delle parole per lo sviluppo dell’emotività
In questo scritto mi propongo di esaminare l’importanza delle parole, meglio ancora della conoscenza e della elaborazione del significato delle parole, nella formazione e nello sviluppo dell’emotività dell’individuo. Tenterò quindi di dimostrare che la cultura umanistica è di fondamentale importanza per lo sviluppo della coscienza dell’essere umano.
Per cultura umanistica non intendo solo quella strettamente letteraria (che certamente costituisce una parte importante della stessa), ma tutto ciò che fa parte della sfera culturale di un dato popolo, e che viene trasmesso e diffuso come insieme di valori. In questa categoria rientrano anche i racconti orali, le fiabe, i miti, le rappresentazioni teatrali, il cinema non commerciale, che costituiscono canali comunicativi di trasmissione della cultura di un popolo, e permettono quindi di acquisire la conoscenza delle parole. La conoscenza delle parole e del loro significato è in netto calo fra i giovani e non solo, perché la cultura postmoderna non mette sufficientemente a disposizione gli strumenti comunicativi necessari al loro apprendimento (come appunto il teatro o i racconti orali) e contemporaneamente svaluta l’importanza della cultura letteraria che si può apprendere attraverso i libri.
La cultura umanistica permette invece di elaborare e sviluppare i sentimenti e le emozioni. L’immagine riportata serve ad esemplificare questo concetto. Essa mostra differenti tonalità di grigio e li abbina a diverse parole, che rappresentano diverse alterazioni dell’umore. Consideriamo, per esempio, la rabbia, e paragoniamo diverse alterazioni della rabbia a diverse tonalità dello stesso colore, in questo caso il grigio. Come si vede dalla figura riportata, il nero rappresenta il grado più alto dell’essere arrabbiati (e infatti è abbinato alla parola arrabbiato); il grigio più scuro è accostato alla parola adirato (che è meno di arrabbiato), il grigio un po’ più chiaro è accostato alla parola stizzito (che è meno di adirato) e così via. Con questa figura si vuole dimostrare che la conoscenza delle diverse parole (in questo caso arrabbiato, adirato, stizzito, alterato) porta il soggetto a sviluppare diversi livelli di emotività, che quindi non si esauriscono ai due estremi, ossia arrabbiato e serafico, ma hanno diverse intensità intermedie (adirato, stizzito, alterato, calmo).
Le parole menzionate (“adirato”, “stizzito” o “alterato”) sono solo degli esempi; i dialetti sono ricchi di parole dal significato analogo, la cui conoscenza porta l’individuo ad assimilare ed introiettare la cultura locale. Se il soggetto non conosce e non elabora il significato delle parole (ad esempio adirato, stizzito ed alterato) non potrà mai sviluppare un’emotività adiacente a queste parole; quindi, l’individuo che non conosce le parole non svilupperà mai un’emotività complessa, ma avrà in sé solo gli estremi dell’emotività.
La conoscenza delle parole facilita la crescita e lo sviluppo dell’emotività del bambino, per la formazione del quale non sono sufficienti i gesti d’affetto dei genitori, ma è necessario anche l’utilizzo di un registro comunicativo pertinente. Non a caso, una volta ai bambini si raccontavano le fiabe, che descrivendo, seppur in maniera dicotomica, personaggi che incarnano il bene e il male, portavano il bambino a comprendere gradatamente che il mondo non è popolato solo da persone “buone” come i genitori, ma anche da persone “cattive” e pericolose, alle quali bisogna stare attenti. Solo attraverso la progressività offerta dalle fiabe, il bambino può, in un momento successivo, arrivare a capire che il male e il bene possono convivere in una stessa persona. Quindi le fiabe, che sono una forma di letteratura, sono essenziali alla crescita emotiva dei piccoli.
La conoscenza di un ampio bagaglio di vocaboli non dipende solo dallo studio scolastico o universitario delle materie umanistiche, ma può anche essere diffusa attraverso la cultura orale; per esempio, le forme linguistiche dialettali sono ricche di vocaboli; per questo motivo, la pratica dei dialetti accresce l’emotività, ed è in grado di opporsi al processo di omologazione imperante, che si avvale anche della diffusione di un linguaggio scarno, composto solo da vocaboli di basso spessore semantico. Anche i grandi poeti dell’antica Grecia, come Omero, non si servivano della scrittura per tramandare la conoscenza sapienziale, che veniva trasmessa solo oralmente, attraverso gli aedi, o cantori, che decantavano le gesta degli antichi eroi. Le tavolette in lineare B, che erano scritte, riportavano solo informazioni riguardanti il bestiame o le merci.
Vorrei anche fare una breve descrizione sulla tipologia di cultura cui si ispirano i fomentatori del terrorismo per diffonde la loro ideologia di morte. La “povertà emotiva”, che deriva da questo genere di cultura, non ha nulla a che fare con la morale, cioè con l’insieme di valori che portano ad avere un retto comportamento, ma riguarda solamente la complessità psichica dell’individuo. Se analizzassimo bene l’emotività e il bagaglio culturale di un potenziale terrorista, scopriremmo che egli è condizionato a provare solo sensazioni estreme; per quanto integrato in una cultura laica, pluralista e tollerante, viene indotto, a causa della propaganda a cui è costantemente assoggettato, a perdere gli stadi intermedi della sua emotività. Tornando all’esempio dell’immagine, il terrorista non è capace di essere “adirato”, “stizzito” o “alterato”, ma può provare solo gli stati estremi di questo umore, ossia “arrabbiato” e “serafico”. È molto arrabbiato quando pensa e vede che il mondo non aderisce ai suoi principi; è serafico (con momentanee esternazioni di euforia che sembrano gioia), se pensa che le sue “idee” si stiano diffondendo. Quando veicola la rabbia progetta ed esegue un attentato; quando è serafico cade in uno stato psichico passivo, che lo porta ad introiettare senza filtro tutte le teorie estreme che il gruppo di riferimento gli presenta. Questo accade perché, sin da bambino o da adulto, viene appositamente addestrato in un ambiente che non favorisce o limita enormemente e disperde l’approfondimento culturale.
A questo proposito è meglio precisare che quanto qui inteso non vale solo per la conoscenza delle parole, ma anche per il significato che ad esse si dà; per essere utile a livello di sviluppo emotivo, la conoscenza delle parole (con le diverse sfumature di significato), deve cominciare in età evolutiva, per poi essere approfondita da adulti, e nondimeno deve poi essere coltivata per essere mantenuta e socialmente vitalizzata. L’emotività, infatti, non è un elemento fisso, sempre uguale, ma viene stimolata nel soggetto sia nella fase dell’infanzia che in età adulta. Questo significa che anche un soggetto con una ricca emotività può “regredire” e perdere parte della sua complessità psichica.
Questo processo regressivo può capitare a chi viene assoggettato ad una propaganda di morte, come quella terrorista, ma anche ad una persona che vive in un ambiente culturalmente poco stimolante. In tal caso, il bagaglio emotivo precedentemente acquisito si può perdere con processo inverso rispetto a quello precedentemente descritto; non più un bambino che, per i motivi detti, non sviluppa un’emotività complessa, ma un adulto che perde parte della propria emotività.
La “mobilità” dell’emotività umana e la possibilità di influenzarla attraverso specifiche attività è stata individuata da Platone, il quale, nel saggio “La Repubblica”, descrive come dannose le poesie e i racconti epici, perché in grado di stimolare solo le parti più aggressive dell’anima, e non quella razionale, che nella sua visione dovrebbe dominare le altre. Questo però significa che il grande filosofo sapeva che l’emotività non è un elemento fisso, bensì mutevole e influenzabile in base alle circostanze.
Bisogna precisare che anche le persone con un’emotività complessa possono essere arrabbiate, ma questo stato dura poco, perché hanno a disposizione gli elementi psichici intermedi (“adirato”, “stizzito” o “alterato”) sui quali fare scivolare e scemare gradatamente la rabbia. Ecco perché chi dispone di un’emotività complessa non è pericoloso. Proprio a causa della sua emotività, la visione di un terrorista assume un contorno empatico molto semplice: il bene corrisponde alla sua ideologia, il male a tutto il resto. E questo dipende non dal fatto che “crede” sia così, ma perché “sente” che sia così. E lo sente perché la sua emotività, causa la scarsa cultura umanistica, è estrema. Come si è detto, ciò accade da un lato perché da bambino è stato cresciuto ed allevato credendo che la verità fosse una, senza ampliare la propria cultura, e quindi la quantità di parole a sua conoscenza, oppure perché da adulto è stato indotto a smarrire la ricchezza della propria emotività. A questo fine, viene spesso incentivato il distacco sociale dei potenziali terroristi dai contesti urbani occidentali. A peggiorare la situazione, intervengono anche i periodi trascorsi in carcere, dove spesso si annidano focolai estremistici. Non è un caso, inoltre, che tutti i regimi dittatoriali abbiano sempre tentato di ostacolare il diffondersi della cultura. Questo non solo per impedire la proliferazione di idee “sedizione”, o contro il regime, ma per evitare di trovarsi di fronte ad insieme di persone emotivamente troppo complesse, e quindi non manipolabili.
Bisogna precisare che non basta la mera conoscenza letterale delle parole, ma, per formare l’emotività di una persona, è anche necessaria la loro elaborazione psichica, l’introiettamento, che può avvenire con la trasmissione orale (fiabe, racconti), se il soggetto viene adeguatamente coinvolto. Nel caso del racconto orale delle fiabe, il bambino viene coinvolto dalla madre, che gli trasmette in quel momento, attraverso le parole, un insieme di valori. L’attuale era postmoderna propone, al contrario, un linguaggio scarno, diretto solamente alla definizione di ciò che è utile alla tecnica.
Per questo motivo, non solo i terroristi hanno emotività estreme, ma anche un ragazzo che nasce e cresce in un Paese occidentale può non sviluppare le emotività intermedie (o perdere quelle acquisite) se non conosce diversi vocaboli con i quali elaborarle. L’era postmoderna, infatti, non offre molti spunti culturali, ed il linguaggio della tecnica è spesso composto da pochi vocaboli. È un linguaggio globalizzato, che tutti possono capire, ma che nessuno in realtà introietta. Non serve allo sviluppo emotivo dell’individuo, ma solo all’aumento della produttività. E, qui sta il punto, chi ha solo un’emotività estrema è portato a sviluppare solo idee estreme, perché le idee e i pensieri non sono affatto disgiunti da ciò che proviamo, ma anzi sono legati al nostro sentire. Il pensiero complesso rifiuta i semplicismi, e il terrorismo, come la cultura postmoderna, in fondo sono semplicismi. Il primo perché pone la realtà su due piani semplici e netti, di impatto moraleggiante: bene e male, senza aver mai dubbi su cosa sia bene e male. La seconda perché semplifica le possibili scelte dell’individuo, che si trova a dovere decidere solo “cosa consumare”, e non “se consumare”.
La coincidenza fra “consumo”, “ricchezza” e “felicità” e appunto un semplicismo postmoderno, a causa del quale non siamo portati a scoprire altre realtà che non siano strettamente materialiste. La mancanza di parole porta il soggetto ad avere un’emotività ridotta ed estrema, e questo porta a pensare in modo estremo. Ecco perché la cultura umanistica (che è possibile acquisire attraverso le fiabe, i racconti orali dialettali, il teatro, i libri) è fondamentale per la costruzione di una società civile.