La Legge della Varietà Necessaria e l’ambiente costruito
Gli uomini necessitano di conoscere dove si trovano. La nostra abilità nel percepire la situazione che viviamo richiede circostanze identificabili, e tale processo si fonda sulle informazioni. Le informazioni, a loro volta, derivano dal fenomeno della differenziazione, opposto alla monotonia. Come esseri umani, reagiamo con allarme alla monotonia informativa (ossia al deficit informativo) e preferiamo stare – e saremo trascinati – in un contesto ambientale in cui la complessità organizzata fornisca informazione con un’identità unica. La fisiologia umana non si è mai evoluta per gestire ambienti vuoti o monotoni, perché tali ambienti sono rari in natura e non si sviluppano naturalmente. Gli esempi di questo genere che ci circondano oggi derivano dall’attività umana. Quando li incontriamo per la prima volta, diventiamo ansiosi, proviamo disagio e disorientamento.
Per di più, la varietà è una caratteristica necessaria di sistemi complessi adattivi. Il modo in cui i sistemi complessi si formano e operano preclude la monotonia. Siccome la monotonia è innaturale e inaspettata, deve essere imposta sull’ambiente. Considerato che i sistemi complessi sono intrinsecamente efficienti, la monotonia sistemica richiede un processo artificiale in cui l’operatività e il mantenimento prosciugano energia dai sistemi sottostanti. Questo uso dispersivo di risorse sorregge un risultato che non ha alcuna funzione utile; semplicemente alimenta una particolare preferenza estetica.
Un sistema monotono o minimalista è, in ogni caso, più facile da controllare. Per aiutarci a comprendere la relazione tra sistemi controllati e controllanti nell’ambiente costruito, si procederà a comparare l’interazione di due sistemi complessi: come relazionano l’uno con l’altro, come uno possa controllare l’altro, e come uno possa distruggere l’altro. La “Legge della Varietà Necessaria”, sviluppata da W. Ross Ashby (1956) nel campo della cibernetica e dei sistemi complessi, può essere definita come di seguito:
“Per ogni sistema che ne governa un altro, il sistema complesso più ampio deve avere un grado di complessità comparabile al sistema che ne è governato”.
Il grado di complessità in un sistema fisico e in quello di un sistema che lo governa devono essere comparabili. Ne emerge che non è possibile usare controlli semplicistici per assemblare e dirigere effettivamente un sistema complesso operante. Ashby usò come esempio la capacità del nostro sistema immunitario di formulare un’ampia varietà di risposte ad un’infezione. Il meccanismo per riconoscere gli elementi patogeni e per dirigere la produzione di anticorpi deve essere da ultimo così sofisticato, così capace di mutamento, quanto lo sono gli elementi patogeni stessi. Controlli semplicistici possono essere impiegati proficuamente solo per operare in un uguale sistema semplice.
In che modo l’ambiente costruito controlla le nostre vite
Le strutture fisiche ambientali controllano le nostre vite, e allo stesso modo un sistema (gli edifici e l’ambiente costruito) ne controlla un altro (le persone che lo abitano) e viceversa. Le persone si trovano a vivere nella geometria che costruiscono, e ciò influenza le loro vite nel bene o nel male. La società si conforma alla morfologia – quindi alla struttura fisica – dei suoi edifici e città, esattamente come succede per le proprie leggi e per i propri codici o standard sociali o morali. Ancora oggi, ci troviamo di fronte a una storia dove il dualismo di questo importante sistema di complessità adattiva che governa tutta l’umanità è negata dalla cultura dominante.
Le seguenti regole scoperte tratteggiano la mutualità dei sistemi adattivi, e sottolineano come la complessità di una società sia bilanciata con ciò che attiene alla città.
Tavola: dualità sistemica di città e società
- Gli utenti controllano l’ambiente edificato nel costruirlo in un certo luogo, e nel modificarlo continuamente per adattarlo ad una complessa e dinamica serie di esigenze;
- La geometria dell’ambiente costruito contiene e controlla le attività dei propri utenti attraverso spazi fisici e il loro impatto psicologico.
- In una società bilanciata, questi due sistemi interagiscono mutualmente in una relazione binaria;
- Sebbene gli ambienti costruiti di ciascuna cultura vivente possano cambiare sensibilmente, avranno tutti un alto grado di varietà comparabile.
- Gli individui hanno un diritto biologico inalienabile a controllare il loro immediato ambiente di vita, attraverso le modifiche e l’ornamentazione delle loro abitazioni e dei luoghi di lavoro.
- Un ambiente costruito senza varietà indica che una società ha rifiutato i suoi più importanti sistemi di complessità organizzata.
Per illustrare questi punti, occorre descrivere due sistemi generali. Il sistema degli edifici, strade, distretti e città, che definisce l’ambiente costruito, costituisce una struttura geometrica che può avere vari gradi di complessità. Questo sistema fisico governa un separato sistema composto da vita umana e atteggiamenti comportamentali, cui è correlato. Tale sistema umano (visto come separato dal tessuto urbano) include molti livelli collegati, che sono posti in scala dalla singola persona fino al livello che comprende l’intera società. L’interazione di esseri umani aggiunge ulteriori strati di complessità alle complessità di ciascuna persona, e la somma di queste stratificazioni genera la nostra società e la sua cultura.
Ogni insediamento tradizionale o vernacolare contiene, integrato nella sua morfologia, la complessità organizzata dei propri cittadini e ulteriori livelli di complessità della società che essi hanno costruito. Riflettono un maggior equilibrato bilanciamento tra due sistemi: (i) tessuto urbano e (ii) società umana. Attraverso la storia, viene implementata una stretta relazione reciproca: le persone e la società governano il proprio ambiente costruito, mentre l’ambiente costruito a sua volta governa le persone e la società. “Noi modelliamo i nostri edifici; successivamente, questi modellano noi”, diceva Winston Churchill. La complessità della vita di ogni giorno – le sfide della sopravvivenza quotidiana – riflettono la varietà strutturale che si trova nell’architettura e nell’urbanistica tradizionale.
Profonde differenze nelle strutture e pratiche sociali traggono riflesso e trovano eco direttamente nelle differenze morfologiche tra l’architettura tradizionale e il tessuto urbano delle diverse società. Ciò che è simile, comunque, è il loro alto grado di complessità organizzata. La consimilarità fra esse è apparentemente inspiegabile; si potrebbe quasi affermare soprannaturale. In consonanza con la “Legge della Varietà Necessaria”, l’ambiente costruito deve necessariamente incorporare lo stesso grado di varietà, e la stessa tipologia generale di varietà presente nella società che governa.
La semplificazione industriale è disumanizzante
L’ambiente costruito è stato drasticamente semplificato da quando le nazioni europee hanno cominciato ad applicare il crudo modello industriale per ricostruire le città bombardate in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Questo è stato un espediente economico nel breve periodo, ma il movente filosofico della semplificazione – e di conseguenza della ripetizione monotona – è giunto dagli sconvolgimenti nella società all’inizio del XX secolo: la Prima Guerra Mondiale, seguita dalla crescita del Comunismo e del Nazismo. Queste forze non sono scientifiche, sebbene siano emerse dalla crescita della scienza e della industrializzazione su larga scala. I movimenti politici e sociali si sono visti convergere in un nuovo pensiero dominante, che ha puntato ad una forzosa riforma dell’umanità, a tal punto da disconnetterla da un passato giudicato deficitario, fallimentare. Nelle ultime decadi del secolo, il resto del mondo ha semplicemente seguito la moda passeggera dell’Occidente.
I pregiudizi del tempo, manifestatisi con l’intolleranza alla progettazione tradizionale, sono stati presentati come verità scientifiche. Tali idee sono state accettate senza accurate analisi come parte dell’avanguardia nella direzione di una rivoluzionaria ripulitura della pianificazione sociale. La più visibile impronta comune di questi sogni utopici è la monotonia nella progettazione dell’ambiente costruito. Poiché gli ambienti tradizionali sono morfologicamente complessi e pertanto naturalmente adattivi, i teorici hanno postulato che i nuovi ambienti anti-tradizionali richiedano un approccio visuale semplicistico, che è incline ad essere non adattivo. Tralasciando la sua non scientificità, questo approccio è stato responsabile del malessere psicologico causato da un’overdose di monotonia ambientale.
Le mode su descritte mascherano un lato altrettanto oscuro. L’ingegneria sociale considera gli esseri umani come oggetti senza varietà, tali da essere facilmente e collettivamente plasmati in qualunque cosa desideri lo Stato. La complessità della società, in quanto emergente dalle interazioni tra le persone, resiste per sua natura a questa visione globale semplificatrice. Gli esseri umani non amano solitamente essere meccanismi di un ingranaggio, e devono pertanto essere forzati a dirigere delle vite ordinate, governate da un’ordinata impostazione geometrica. Questo obbiettivo disumano non è mai stato dichiarato esplicitamente; invece, abbiamo ricevuto affascinanti promesse di un futuro più scintillante e giusto, di condizioni di vita ottimizzate e maggiormente salutari, di luoghi di accoglienza delle masse popolari dignitosi e a buon mercato, ecc. I difensori di questa visione globale hanno usato tipologie di edifici originariamente destinati alla produzione industriale per alloggiarci invece le persone, sebbene presentassero se stessi come soggetti guidati esclusivamente da idee sociali progressiste.
La “Legge della Varietà Necessaria” ancora ha una certa tenuta, comunque, e rivela una sobria ma altrettanto terribile verità: un ripetitivo, monotono, oltremodo semplicistico ambiente costruito semplifica drasticamente la società umana, e ne mina la propria naturale adattività. Inoltre, i limiti della progettazione monotona modificano continuamente i vincoli sociali che grazie ad una macchina estetica vengono rimodellati, conferendo di fatto un’apparente ma non genuina efficienza. L’apparenza superficiale di un ordine semplicistico è stata confusa con l’efficienza industriale. Questa apparenza semplificativa è divenuta nel mondo la tipologia preferita di nuova città. Tale tipologia è supportata dalle regole municipali e rinforzata dalle istituzioni professionali, così bandendo, effettivamente, nella pianificazione e progettazione delle città, un’architettura basata sulla complessità adattiva, sulla varietà. La società in luoghi così regolati è forzosamente semplificata e, di conseguenza, diventa più facile da controllare.
Controllo, intolleranza e monotonia forzata
La libertà rappresentata dalla varietà dell’ambiente costruito è un antidoto al distopico obbiettivo dell’omogenizzazione. La varietà è disordinata, ma anche liberante, e annulla la chiara logica, totalitaria ma inequivocabile, del controllo imposto dall’alto. Ciò che fino a poco tempo fa è stato (mal)interpretato come disordine nello sviluppo del moderno insediamento auto-costruito, come i bassifondi della tipologia delle favelas che circondano molte città africane, asiatiche e latino-americane, sono studiate ora come disvelate strategie pratiche per descrivere come una città salubre possa sopravvivere attraverso l’adattamento e la varietà.
Molti governi ancora adesso cercano di influenzare le loro cittadinanze ad una società industriale “efficiente” composta da unità semplicistiche, ripetitive, non-interagenti. La cultura dominante ha adottato nozioni scientifiche di efficienza meccanica che non applica ai sistemi complessi, e neppure a tutti i sistemi altamente complessi che rappresentano la società umana, da una parte, e le città dall’altra. La legge di Ashby rivela che un sistema semplicistico imposto dall’alto non può mai controllare la varietà del tessuto urbano informale auto-generato: può solo distruggerlo. Gli Stati in un afflato disperato, per governare alcune regioni che si sviluppano sotto il controllo pubblico, frequentemente demoliscono quelli che chiamano catapecchie, solo per vederle rimpiazzate da monotoni quartieri di abitazioni industrializzate. La varietà di tessuto urbano organico è un affronto all’estetica industriale. La sostituzione massiva di interi gruppi di edifici più vecchi ed informali è diventata un’ossessione. Accademici rispettabili e i loro primi allievi ora guidano gli uffici di pianificazione governativa. Insieme consigliano i legislatori di implementare il crudo modello industriale per le città.
Un centinaio di anni fa, l’Art Nouveau, l’Art Deco, e altri linguaggi architettonici ricchi di ornamentazioni usavano complesse unità architettoniche prefabbricate senza cedere sulla loro autenticità creativa. Pur sotto il severo giudizio ideologico del secolo scorso (si veda ad esempio lo slogan degli anni Venti “Progettazione pura per una nuova società”), la varietà nella progettazione è sopravvissuta e ha prosperato in quei settori della società che fuoriuscivano dal diretto controllo del potere centrale. L’asciutta progettazione diffusa che insiste sulla monotonia nel nostro tempo è guidata esclusivamente non dalla praticità ma da una cultura in cui ancora molti credono ferventemente, e che ancora domina molte delle istituzioni che guidano lo sviluppo dell’ambiente costruito.
La monotonia della progettazione imposta sull’ambiente costruito erode il sistema complesso che include le vite di individui che compongono la società. Paradossalmente, la cultura dominante diffusa in tutto il mondo abbraccia ancora la progettazione monotona come un segno del progresso. Pur a seguito di tutti gli esempi fallimentari, il danno sociale e un numero incalcolabile di vite rovinate, la cultura dominate continua a promuovere l’architettura monotona e le tipologie urbane. Barre di acciaio e calcestruzzo armato, spogliate dal tocco umano e, nell’ultimo solco dell’ideologia pseudoscientifica, letteralmente attorcigliate dai computer, sono ancora promosse come elementi “liberatori di nuovi ideali”.
La progettazione monotona è anche un’alleata nella deliberata distruzione della cultura. Una disciplina rigida del pensiero diffuso autorizza i regimi ad annientare la varietà architettonica sopravvissuta alle precedenti generazioni, includendo in tale opera demolitiva chiese, moschee, sinagoghe e templi, rimpiazzati da monotoni edifici industrializzati. Ciò accadeva già in Europa sotto l’occupazione nazista, in Cambogia sotto il regime di Pol Pot, in Cina durante la Rivoluzione Culturale, e in buona parte della Russia e dell’Europa centrale sotto il dominio sovietico. In modo analogo, certi regimi religiosi fondamentalisti esibiscono una simile intolleranza verso i tesori architettonici e artistici. L’ISIS ne è solo l’ultimo esempio concreto. Tali regimi considerano il passato una minaccia che deve essere rimossa, perché le forme organiche complesse minano la cieca obbedienza agli ideali astratti. Il gettito garantito dal turismo non è un argomento sufficiente per contrattaccare il fanatico desiderio di distruggere la varietà incarnata nell’eredità di un Paese.
Comunque, la visione globale della società si è spostata a tal punto che la varietà riconoscibile nel tessuto urbano è vista non tanto diversamente da una minaccia al rigore della produzione industriale. La monotonia è non dissimilmente considerata necessaria per l’industria. Gli obbiettivi industriali possono essere prodotti con grande varietà. Le macchine complesse come gli aeroplani, i computer, gli strumenti scientifici, e i giochi per bambini sono prodotti per il consumo di massa. L’aumentata varietà in molti campi della progettazione insinua una crescita della libertà nel mondo industriale, la base per una capacità di ripresa nell’economia.
La rivoluzione nella progettazione urbana reintroduce un uso misto, sottolinea la dimensione umana, protegge le aree pedonali, e ritaglia piccoli spazi urbani utilizzabili. Fino a quando questi elementi provengono da varietà, e non da una formalistica progettazione imposta dall’alto, catalizzano complessità e varietà nell’ambiente sociale. Queste stesse forze hanno creato luoghi vivibili per millenni, pertanto dei criteri forti sono necessari per ristabilire varietà dopo che questa è stata distrutta attraverso una sbagliata applicazione della scienza. Una strategia orientata al mercato inerente a una complessità urbana offre la speranza per annullare il disegno della monotonia attuato dal mainstream culturale del dopoguerra.
Un metodo è quello di tornare alla pianificazione locale con i modelli tradizionali, quelli che si sono naturalmente evoluti nel corso di generazioni di costruzione di tipo adattivo, delicatamente bilanciando attività a misura d’uomo e usi contro le forze della natura. I modelli tradizionali incorporano il risparmio energetico e la resilienza, raggiunti all’interno di una economia locale, oltre che l’impiego di materiali disponibili. In molti luoghi del mondo, il design urbano tradizionale sta rinascendo per creare il tessuto urbano a misura d’uomo, attraverso una comprensione culturale e storica, aumentata dalla tecnologia attualmente disponibile.
In certe situazioni, la partecipazione dei cittadini può essere utilmente attuata nell’ambito di un approccio di tipo commons. Questa è l’implementazione di una progettazione concertata, in cui un accordo tra i cittadini decide aspetti chiave di un progetto. Si potrebbe anche includere uno sforzo di collaborazione in fase di costruzione, ma quello che per ora è più rilevante riguarda la concezione condivisa di progettazione e pianificazione. Basandosi sulla intuizione collettiva delle persone e sulla memoria architettonica comune (facendo leva di nuovo sulla cultura ereditata) diventa più facile inventarsi un ambiente umano. Spesso, il potere di cooperazione locale è l’unica forza capace di resistere agli interventi architettonici imposti dall’alto, promossi da una élite scientifica e culturale globale.
Nikos A. Salingaros