Economia della Conoscenza
Una strategia per affrontare la globalizzazione e per superare il turbocapitalismo finanziario
di Catalyst – Centro di Ricerca Economico
L’economia della conoscenza è un’espressione coniata da Peter Drucker, economista aziendalista di fama mondiale, con la quale si intende l’utilizzo delle informazioni per generare valore, con particolare attenzione a natura, creazione, diffusione, trasformazione, trasferimento, e utilizzo della conoscenza in ogni sua forma. La conoscenza da un punto di vista aziendale è una risorsa scarsa che consente, a chi la possiede, di trarre un vantaggio competitivo. È considerata una risorsa, se applicata alla risoluzione di problemi, perché può essere una fonte di guadagno.
L’economia della conoscenza evidenzia i legami tra i processi di apprendimento, l’innovazione e la competitività, sempre più basata sulla conoscenza e di conseguenza sulle risorse intangibili, sul know-how e sulle competenze distintive. Alla base della conoscenza vi sono i processi cognitivi e di apprendimento dell’uomo e l’economia è uno dei risultati delle scelte compiute su tali basi.
Possiamo distinguere molti tipi di conoscenza: conoscenza soggettiva e oggettiva (Popper, 1972), implicita o tacita ed esplicita o codificata (Foray 2006), organizzativa, incrementale, comune, specializzata. In particolare, la conoscenza implicita è quella che si basa sull’esperienza e appartiene alla sfera personale dell’individuo; quando essa viene elaborata, diviene conoscenza codificata e quindi esplicita, incrementa lo stock di conoscenza, diviene accessibile a tutti e facilmente scambiabile sul mercato tecnologico. Al contrario, la conoscenza tacita per essere scambiata necessita di rapporti di fiducia (Polanyi, 1958), e pertanto della creazione di specifiche istituzioni che ne facilitino la diffusione dei flussi.
Tutto questo sottende una grande quantità di questioni:
- Dal punto di vista storico: è davvero corretta la convinzione secondo la quale all’economia industriale succede indubitabilmente l’economia della conoscenza?
- Dal punto di vista epistemologico: siamo arrivati alla consapevolezza sufficiente per conoscere la conoscenza intorno alla quale l’economia si starebbe riorganizzando?
- Dal punto di vista antropologico: stiamo costruendo una cultura sufficientemente dinamica, aperta e consapevole da consentirci di convivere con il prodotto della nostra evoluzione sociale?
- Dal punto di vista etico: la sostenibilità dell’economia industriale è dubbia, ma la sostenibilità dell’economia della conoscenza è certa?
Dal Capitalismo Finanziario Speculativo all’Economia della Conoscenza
Lo sviluppo dell’Economia della Conoscenza, la formazione di una nuova classe costituita dai Lavoratori della Conoscenza e la tecnologia di Internet annunciano il possibile passaggio dal capitalismo finanziario speculativo a un nuovo modello di produzione, basato sulla cooperazione e la democrazia economica. Infatti, la conoscenza, su cui si fonda il capitalismo più avanzato, ha paradossalmente caratteristiche intrinseche difficilmente compatibili con il capitalismo stesso, perché è un bene economico Non Esclusivo e Non Competitivo (Romer, 1990).
L’emergente Knowledge Economy sta dunque scardinando dall’interno i meccanismi produttivi attuali, che invece si basano sulla ipercompetizione e sulla proprietà esclusiva dei beni. Protagonisti di questa rivoluzione lunga, graduale e complessa, dagli esiti ancora imprevedibili, sono i “lavoratori della conoscenza”.
Pur subendo le caotiche speculazioni finanziarie, che generano precarietà occupazionale, stress, riduzione dei redditi e dei servizi sociali, essi stanno sviluppando autonomamente, grazie alla rete, nuove dinamiche produttive della conoscenza aperte, cooperative e democratiche. Il free software, l’open source, Wikipedia, i blog, i social media, l’Impresa 4.0, e l’open science non sono che i primi passi di una “rivoluzione lunga” nel campo scientifico, tecnologico e delle comunicazioni. Una rivoluzione innanzitutto culturale, economica e tecnologica, destinata però a trasformare radicalmente anche le istituzioni politiche e sociali.
Manca un chiaro racconto del percorso che i sistemi economici occidentali hanno imboccato e del progetto comune che propongono alle società. Una difficoltà densa di conseguenze per la vita quotidiana, per il consenso sociale, per l’incentivazione dell’innovazione, per la coltivazione delle speranze dei giovani, per la costruzione di scenari in base ai quali investire. Una delle interpretazioni più convincenti sostiene che l’epoca post-industriale è destinata ad essere governata dall’economia della conoscenza (Machlup, 1962).
In questo ambiente il valore si concentra nel territorio delle Idee: informazione, immagine e senso. Si compra, si produce, si desidera il significato che si legge nei prodotti molto più di quanto non si compri, non si produca e non si desideri la materia della quale quei prodotti sono fatti (Warsh, 2006). Questa nuova consapevolezza abbatte le vecchie barriere che separavano l’economia dalle altre scienze sociali, dalla psicologia all’antropologia, dalla storia alla geografia. Perché se il valore è nel senso generato da chi produce ed è riconosciuto da chi acquista, allora, il baricentro della questione economica si sposta dal mondo del capitale a quello della persona: alla dinamica della competizione si affianca la dinamica della collaborazione. Le conseguenze sono concettualmente rilevantissime. La smaterializzazione dell’economia post-industriale e l’avvento dell’economia della conoscenza implicano una grande trasformazione nelle forme della proprietà, dell’organizzazione produttiva, del rapporto tra pubblico e privato e cambiano il concetto di scarsità, che non si applica più soltanto ai mezzi, ma anche alle molteplici dimensioni della relazione umana: fiducia, attenzione, comprensione. Il prezzo si determina tanto nella conversazione quanto nella contrattazione. La visione diviene la questione strategica dell’azienda; il laboratorio di ricerca entra a far parte integrante del processo produttivo; la tecnologia cessa di essere il limite del possibile per trasformarsi nel suo costante superamento. Il design diventa progettazione e racconto, i media diventano distribuzione e conversazione, gli autori diventano generatori di valore e di motivi di connessione tra le persone. E la complessità prende il posto della linearità: perché nella smaterializzazione della produzione, la cultura diventa il luogo dell’economia, molto più di quanto non lo sia la fabbrica, il mercato o l’ufficio.
Dalla smaterializzazione dell’Economia Post-Industriale all’Economia della Conoscenza
Il passaggio storico di questa economia della transizione verso l’ipotizzata epoca della conoscenza è tutt’altro che garantita. Si può osservare temporalmente che all’economia post-industriale non succede necessariamente un’economia della conoscenza, anzi: la finanziarizzazione e l’iperconsumismo si candidano a perpetuare le modalità economiche fondamentali dell’epoca industriale anche dopo la fine della centralità della fabbrica. La finanza e l’iperconsumismo, manipolato dalla pubblicità, possono apparire in crisi negli ultimi anni, ma non sono certo fenomeni deboli.Da un punto di vista antropologico la velocità di aggiornamento della cultura è sottoposta a sollecitazioni immense, posto che si tratta di un elemento della società che si muove invece da sempre a ritmi lentissimi. Ma il problema centrale è che produrre idee intorno all’economia delle idee implica un salto di astrazione (o meglio, di produzione di significato) senza precedenti, che porta la migliore filosofia a diretto contatto con l’analisi economica: un’epoca di transizione verso l’economia della conoscenza (Quine, 1961).
Alcune proprietà basilari dell’economia della conoscenza rispetto alla classica economia di mercato sono:
- il sapere è un bene comune quindi non esclusivo e non competitivo, ha costi di riproduzione molto bassi e si produce grazie alla comunicazione e alla cooperazionevolontaria;
- è un’economia immateriale e produce beni tendenzialmente immateriali;
- manca il concetto di profitto di breve periodo; il lavoro è flessibile, ma si è contemporaneamente imprenditori di sé stessi;
- il knowledge worker è altamente istruito, tendenzialmente viene dal mondo della ricerca o dell’istruzione;
- ricerca e istruzione sono i due veri mercati derivati dell’economia della conoscenza;
- non ci si può permettere di non essere laureati (L’Italia è in posizione arretrata rispetto alla media europea);
- le banche assumono un ruolo più marginale, emerge in modo più sostenuto la figura del venture capitalist: persone facoltose, mecenati e fondi privati, ma anche lo Stato, lo Stato moderno, che deve ridefinire il Come intervenire in economia.
Economia e idee: la frontiera della conoscenza
Approfondiamo l’esposizione del tema della Conoscenza, proponendo il nostro modello economico, denominato “Frontiera della Conoscenza” che ci permette di riorganizzare il contenuto precedentemente esposto e di dare subito un’operatività pratica al tema conoscenza, pilastro fondamentale della scienza economica corrente al pari di argomenti come la libertà e la disuguaglianza. Lo scopo primario è quello di proporre un modello economico innovativo della Crescita, e di fornire degli strumenti di base per muoverci nella direzione di una politica economica, personale ed aziendale diversa, integrativa rispetto ai classici e più noti interventi di politica monetaria e fiscale, al fine di stimolare la crescita di un sistema economico chiuso o aperto, cercando di indicare ad ogni soggetto economico, la direzione per far crescere sé stesso e l’ambiente sociale ed economico circostante in cui è quotidianamente immerso.
Tale modello è riassunto nel grafico qui sotto riportato.
(clicca sul grafico per ingrandire)
La Frontiera della Conoscenza è la curva che è in grado di valutare il tasso di conversione delle idee nuove e dei progetti in brand ovvero in idee e progetti che in qualche modo vengono istituzionalizzati e riconosciuti attraverso un nome o un marchio che li identifica e li rende riconoscibili come appartenenti a quella specifica persona. Si tratta pertanto di veri e propri beni economici con un loro valore anche se si tratta di una tipologia di beni “particolari e unici”, aventi caratteristiche molto simili a quelle di un bene pubblico pur non essendolo. Di fatto realizza un processo di trasformazione di qualcosa di molto soggettivo, legato alla persona, al suo pensare, alla sua creatività, ai suoi gusti personali, per poi essere oggettivizzato. Esempi ne sono: una nuova scoperta scientifica, un software, un abito di uno stilista, ecc. Per tale motivo la curva è anche denominata Frontiera della Oggettivizzazione della Soggettività.
Quindi anche l’Idea (Nuova), apparentemente solo immaterialità, in realtà è un bene vero e proprio con un suo valore di mercato: si tratta di un bene che ha più similarità con un bene pubblico anche se proprio pubblico non lo è in quanto può essere Esclusivo e Non Rivale o Rivale e Non Esclusivo. Questo è ovviamente possibile grazie al supporto della tecnologia che rende un’Idea immediatamente disponibile.
Bene economico
In economia, un bene pubblicoè un bene che è difficile, o impossibile, produrre per trarne un profitto privato. Per definizione, un bene pubblico è caratterizzato da:
- Assenza di rivalità nel consumo – il consumo di un bene pubblico da parte di un individuo non implica l’impossibilità per un altro individuo di consumarlo allo stesso tempo (si pensi ad esempio a forme d’arte come la musica, o la pittura);
- Non escludibilità nel consumo – una volta che il bene pubblico è prodotto, è difficile o impossibile impedirne la fruizione ai soggetti che non hanno pagato per averlo (si pensi ad esempio all’illuminazione stradale).
Beni pubblici puri possiedono in senso assoluto tali proprietà. D’altra parte, poiché i beni pubblici puri sono rari (sebbene includano importanti casi quali il sistema dei diritti di proprietà o la difesa nazionale), nel gergo degli economisti il termine bene pubblico è in genere riferito a beni pubblici impuri, o pubblici soltanto con riferimento a un particolare sottoinsieme di consumatori. È importante al riguardo osservare che un bene pubblico può essere fruito da parte dell’intera società, laddove un bene che è utilizzato soltanto da un suo sottoinsieme dovrebbe essere considerato un bene collettivo.
Un bene pubblico puro può essere inoltre definito in opposizione a un bene privato, ossia un bene caratterizzato da rivalità nel consumo ed escludibilità. Una pagnotta è ad esempio un bene privato: il suo possessore può impedire ad altri di consumarla, e una volta che essa è stata consumata, non può esserlo nuovamente.
Il libero mercato è in genere incapace di produrre un ammontare ottimale/efficiente (in senso paretiano) di beni pubblici. Importanti beni, come il sistema dei diritti di proprietà, saranno “prodotti” in ammontare insufficiente, a causa di problemi normalmente associati ai beni pubblici, quali il free riding. Nella pratica, tali difficoltà sono normalmente affrontate e risolte tramite l’intervento dello Stato nell’economia. Questa soluzione non è tuttavia libera da critiche, in quanto alcuni argomentano come possa condurre alla produzione/erogazione di beni pubblici in quantità eccessiva; inoltre, una soluzione centralizzata che passi tramite l’intervento governativo non è l’unica possibile; almeno in via teorica, soluzioni decentralizzate quali tradizione e democrazia possono svolgere un ruolo analogo. L’Economia della conoscenza si occupa diffusamente di questi temi.
Descrizione della frontiera
Se in un sistema economico ci fossero solo Brand non ci sarebbe nessuna capacità di innovazione pertanto si andrebbe verso una situazione di decrescita. All’opposto ci sarebbe decrescita se ci fossero solo Nuove Idee: tratti rispettivamente a destra e a sinistra dei punti B ed A della curva.
Risulta pertanto rilevante il punto di equilibrio E, la cui retta definisce il confine fra le due aree più rilevanti definite dal grafico. Il punto E rappresenta il punto di equilibrio ovvero quello di confine o frontiera tra la zona della Bassa Crescita e quella della Crescita Sostenuta o Alta Crescita. Nel tratto BE, è delineato il tratto che definisce un sistema economico in fase di Bassa Crescita o Crescita e in presenza di forti disuguaglianze; in più è presente un’alta concentrazione della ricchezza dato che i Brand sono molti e tendono a concentrarsi, mentre le possibilità di entrata e accesso per le Nuove Idee è molto bassa. Viceversa nel tratto della curva EA si verifica la situazione opposta dove i Brand sono pochi e maturi, pertanto vi è spazio per l’affermazione di Nuove Idee e per la messa in moto di meccanismi di Mobilità Sociale verso l’alto (Upward Mobility). Nei punti esattamente lungo la curva esiste in generale una situazione di perfetta efficienza nella produzione di conoscenza (idee). Mentre nelle aree descritte dalle rette passanti per i punti indicati esistono punti dove si realizzano delle inefficienze e diseconomie di diversa natura e di diverso grado. Il raggiungimento della Zona Obiettivo ovvero quella individuata dal tratto della curva EA, in particolare il punto intermedio del tratto EA, si ottiene quando si realizzano contemporaneamente le seguenti circostanze o eventi:
- la crescita economica sia principalmente il risultato di forze endogene (ascolto dei bisogni veri e reali dei cittadini, audience ownership, diffusione della tecnologia, ecc.) e non esterne (eccessiva dipendenza dalla domanda estera di un sistema economico, eccessivo riformismo economico, assurde mode economiche, ecc.);
- gli investimenti in capitale umano, innovazione e conoscenza contribuiscono in modo significativo alla crescita economica;
- il tasso di crescita di lungo periodo di un’economia dipende dai sussidi per la ricerca e lo sviluppo o l’istruzione, aumentando l’incentivo all’innovazione;
- la ricaduta di un’economia basata sulla conoscenza come pilastro per lo sviluppo economico: l’esistenza di knowledge worker come figura professionale cardine di un sistema economico;
- il processo di conversione o oggettivizzazione della soggettività non sia realizzato dal produttore di nuove idee (conoscenza) con Frode Benevola;
- lacooperazione convergente e non divergente fra i soggetti economici sia l’elemento cardine per lo sviluppo economico, soprattutto fra quelli che realizzano la nuova conoscenza;
- la presenza di poche asimmetrie informative.
Forze endogene
La tecnologia come input produttivo non è né un bene privato né un bene pubblico; è un bene non rivale, parzialmente escludibile. Pertanto si va ad aggiungere alla tradizionale e più familiare distinzione tra Beni Pubblici, forniti dal Governo, e Beni Privati, forniti dai partecipanti al Mercato, con una seconda opposizione fra Beni Rivali e Beni Nonrivali: fra beni la cui fisicità rende possibile il loro assoluto possesso e limitata condivisione: un cono gelato, una casa, un lavoro, un buono del Tesoro, e beni la cui essenza può essere scritta e immagazzinata in un computer come una stringa di bit ed essere egualmente condivisa da molte persone nello stesso momento praticamente senza limite: un testo sacro, una lingua, i calcoli, i principi del disegno di una bicicletta. Nel mezzo di questi ci sono miriadi di interessanti possibilità. Le Idee: il vestito dello stilista, il sistema operativo di un PC, un concerto jazz, un disco dei Beatles, il disegno di un nuovo chip del computer, il segnale codificato di un satellite di comunicazione, una mappa del genoma umano, la struttura molecolare di un nuovo farmaco, un seme geneticamente modificato, un quadro di Picasso, il testo di un libro, un’equazione matematica. Tutti questi sono Beni Nonrivali perché possono essere copiati o condivisi e usati da tante persone nello stesso momento. Molti dei quali sono anche Escludibili, il che vuol dire che l’accesso ad essi può essere in parte controllato, almeno in principio. I Beni Rivali sono Oggetti, i Beni Nonrivali sono Idee: atomi e bit, dove le idee sono espresse in stringhe di codice binario.
Il concetto di Bene Nonrivale non è nuovo all’economia. Esso risale agli anni Sessanta. La novità sta nel fatto di combinare la Nonrivalità al concetto di Escludibilità e applicare tale distinzione laddove non è stata applicata prima (Romer, 1990). La novità introdotta da Romer riguarda il ruolo delle idee nella vita quotidiana: formule segrete, marchi e brevetti, algoritmi, meccanismi, leggi scientifiche, disegni, mappe, ricette, procedure, business method, diritti d’autore, ecc., ovvero l’Economia della Conoscenza. Egli ha reso visibile una inevitabile rigidità (trade-off) fra creare incentivi alla produzione di Nuove Idee e mantenere incentivi per l’efficiente distribuzione e uso della Conoscenza Esistente, la scelta sociale che crea quello che comunemente chiamiamo proprietà intellettuale.
Gestire l’attrito tra queste estremità, favorendo la crescita della conoscenza assicurando contemporaneamente che i suoi benefici sono ampliamente condivisi, è la responsabilità del governo: ogni bit è altrettanto importante quanto una politica monetaria e fiscale. Se l’intrinseco sistema di incentivi per creare nuove idee è sottosviluppato, la società soffre di una generale mancanza di progresso, soprattutto i poveri. La stessa cosa succede se tali incentivi sono troppi o troppo ravvicinati (Ruolo dello Stato nell’economia e politica economica).
Capitale umano
Il capitale umano oggi riveste un ruolo centrale nello sviluppo del sistema economico di ogni paese. Con il termine capitale umanosi intende l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. La formazione e crescita del capitale umano avviene tramite i processi educativi di un individuo che interessano:
- l’ambiente familiare;
- l’ambiente sociale;
- la scolarità;
- le esperienze di lavoro.
Per formare il capitale umano gli individui o le comunità sostengono dei costi – detti anche in economia costi di allevamento – di natura monetaria, come ad esempio la costruzione di scuole, o non monetaria, come il tempo che i genitori dedicano ai propri figli (altruismo sociale). Questi costi costituiscono degli investimenti che una comunità o un paese realizza per il proprio futuro ai fini del miglioramento delle condizioni di vita in una logica che dovrebbe essere di economia sostenibile. Fenomeni come l’emigrazione e conseguente fuga dei cervelli, la non valorizzazione dei talenti o l’insufficiente spesa pubblica per la scuola, costituiscono alcuni esempi di impoverimento del capitale umano con conseguenze sullo sviluppo economico di un territorio. Il capitale umano è alla base del sistema delle relazioni interpersonali, formali e informali, che generano il capitale sociale di una comunità, di un territorio, di un paese. Il capitale umano è stato paragonato ad un investimento in un bene, che produce un certo rendimento. A tale proposito si è parlato di Rendimento Implicito o di Tasso Interno di Rendimento, indicatore che viene utilizzato dagli economisti per indicare in quale misura un anno di istruzione in più aumenta i benefici netti individuali. Si tratta di un parametro che rappresenta il risultato di un investimento e che ad esempio, in questo contesto del capitale umano, può valutare il differenziale salariale tra persone che hanno un diverso livello di istruzione o la diversa probabilità di occupazione, derivante sempre da titoli di studio differenti.
Knowledge worker
La figura professionale centrale dell’economia della conoscenza secondo la prospettiva della Frontiera è il Knowledge Worker: colui che conosce il modello economico della conoscenza di riferimento (Frontiera di Produzione), guida tutto il processo, gestisce la struttura e coordina i talenti. In pratica è il responsabile della produzione di Nuove Idee (asse delle ordinate del grafico descritto; anche variabile indipendente della funzione di produzione della Conoscenza) all’interno del sistema economico o organizzazione. Infatti, lo sviluppo di una struttura e il valore economico che produrrà dipenderà dal numero di nuove idee che si riusciranno ad elaborare e dal time to market per renderle operative. Pertanto, la fase dello scouting dei talenti e il loro sviluppo riveste una particolare importanza.
Il Knowledge Center è l’ambiente costruito dal Knowledge Worker o Manager ed è il centro dello sviluppo delle idee e del problem solving di un’organizzazione. Ne produce la cultura di riferimento e pertanto qualifica un nuovo ambiente efficiente in cui agisce e si diffonde. Èil principale motore per generare valore economico e crescita. Il Knowledge Center è pertanto il luogo e l’organizzazione in grado di applicare l’economia della conoscenza, quale unità di sintesi teorico/pratica che può disporre delle caratteristiche essenziali del metodo stesso.
Possiamo affermare che la conoscenza è un pilastro fondamentale della scienza economica corrente, al pari di altri argomenti basilari come la libertà, la disuguaglianza e la moneta. Lo scopo primario è quello di fornire degli strumenti di base per muoversi nella direzione di una politica economica, personale ed aziendale diversa, integrativa rispetto ai classici e più noti interventi di politica monetaria e fiscale per stimolare la crescita di un sistema economico chiuso o aperto, in modo da indicare ad ogni individuo come far crescere se stesso, dando una risposta alla seguente domanda: “io, chi sono?”.
Frode benevola
Per avere un quadro analitico della frode benevola, di seguito possono essere fornite delle caratteristiche:
- È un atteggiamento di un soggetto economico che presenta elementi di alto carattere simbolico e agisce nell’ambito della cultura mainstream(cultura postmoderna);
- Realizza un uso di risorse di second best, nell’apparente convinzione di agire verso la realizzazione dell’efficienza produttiva;
- Il comportamento del frodatore benevolo è dotato di scarsa complessità sostanziale in riferimento alla priorità di impiego di strutture e risorse economiche;
- Genera la falsa convinzione sociale dell’adeguatezza di una certa soluzione o azione;
- Il successo del frodatore benevolo comporta imitazione sociale e impedisce ai meccanismi di mobilità sociale di entrare in funzione;
Esempio di frode benevola è la valutazione dei titoli da parte delle agenzie di ratingprima della recente crisi economica, o di quelle attività finanziarie che sono sorte di conseguenza. La Grande scommessa (Adam McKay, 2015) è un film che rappresenta con una certa puntualità tutti questi aspetti. La trama documenta l’attività svolta da alcuni speculatori nel contesto dell’imminente crisi dei mutui subprimenegli Stati Uniti, che comportò nel 2008 al crollo del settore bancario e dell’intera impalcatura finanziaria americana, con effetti globali. L’erogazione di mutui, anche a tasso variabile, per l’acquisto di abitazioni in un mercato immobiliare in costante crescita da anni, aveva portato alla formazione di una bolla finanziaria, in seguito all’espandersi dell’insolvenza dei privati. I fondi obbligazionari legati ai mutui, ritenuti massimamente sicuri (poiché legati a un bene che mai aveva subito svalutazioni gravissime e improvvise) venivano tenuti a galla dalle agenzie di rating e dalle forti pressioni degli istituti bancari interessati. I pochi, che acquisirono in tempo utile le informazioni necessarie per speculare su tale situazione, costruirono nuovi strumenti finanziari (swap) per scommettere sul fallimento delle obbligazioni svuotatesi di valore effettivo. Una volta che l’apparenza di valore venne meno e divenne progressivamente pubblica, la classe media americana, perdendo abitazioni e trovandosi svalutato il capitale investito su strumenti finanziari ritenuti sicuri, pagò il prezzo della forza dei soggetti bancari che avevano celato il meccanismo distorto e dei pochi che riuscirono ad approfittare in tempo della situazione per speculare sul fallimento del sistema.
Lo schema sopra riportato indica quindi:
- La presenza di elementi di alto carattere simbolico nell’ambito della cultura mainstream, dato che l’impiego di strumenti finanziari che determinano un’interpretazione apparente di accreditamento di una certa realtà economica, riflettono perfettamente le caratteristiche operative della condizione postmoderna;
- L’uso di risorse di second bestè chiaro, perché sia la speculazione sui mutui, sia la creazione di swapnon realizzano efficienza economica;
- Gli strumenti finanziari impiegati dai soggetti finanziari interessati, pur articolati e perfino nuovi, non portano ad una risoluzione di un problema economico generale, e non sono pertanto adeguatamente complessi rispetto ai beni e ai soggetti che ne sono direttamente e indirettamente interessati;
- Era del tutto pacifica la formazione di una convinzione sociale diffusa del valore degli strumenti finanziari coinvolti e dei soggetti che li accreditavano. La “rottura” esercitata sul valore delle obbligazioni riferite ai mutui subprime con l’impiego degli swap fu di fatto una “controfrode benevola”, che riproponeva le medesime metodiche;
- Da quanto accadde, risulta chiaramente che il modello finanziario fondato su strumenti articolati e fortemente remunerativi per pochi a danno di un vasto numero di soggetti (che non può conseguire pari o proporzionati risultati) costituì comunque un modello non crollato con la crisi.
Cooperazione divergente e convergente
La cooperazione è analizzabile da un punto di vista oggettivo e soggettivo. L’aspetto oggettivo riguarda la relazione tra settori, discipline, metodi ed è una tipica modalità di comporre la conoscenza nello sforzo di determinare prassi nuove, sviluppo e cambiamenti. La cooperazione è anzitutto frutto del rapporto e della comunicazione tra diverse componenti: culturale, scientifica ed economico-sociale.
La cooperazione in senso soggettivo riguarda il modo in cui la cultura influenza il pensiero, le azioni e le relazioni, con riferimento al comportamento dei singoli attori.
Una cooperazione stimolata da una forte componente soggettiva senza un parallelo sviluppo della componente oggettiva assume una connotazione divergente, dato che gli attori di una certa comunità non sono supportati da una cultura che disveli la base comune dell’operare. La conseguenza di questo stato, fortemente tipizzato nella postmodernità è facilmente oggetto di spinte dominanti dei gruppi di interesse. Il capitalismo finanziario è un tipico esempio degli effetti della cooperazione divergente, dove sono assenti strumenti comuni alle parti coinvolte nei processi economici, e dove si allarga il divario degli utili e delle conoscenze significative sul piano produttivo delle classi dirigenti rispetto agli altri attori sociali, producendo un aumento delle disuguaglianze. Da questo punto di vista non lo è stato il capitalismo di stampo fordista, precedente a quello finanziario, affermatosi negli anni Ottanta.
Un esempio di cooperazione divergente in ambito produttivo, in cui i fattori differenziativi si legano, è dato dalla economia della convergenza. Si tratta di un settore esemplare di convergenza per sommatoria: economia del contenuto (o dell’informazione), economia del contenitore (telecomunicazioni), e economia informatica (digitale). Il processo di convergenza in questo caso è ancora in atto e si fonda su aspetti non direttamente legati al maggiore sviluppo della tecnicità parallela delle diverse discipline, bensì a fattori esterni di mercato, che dettano la prevalenza di un settore dimensionalmente più grande sugli altri, secondo una logica darwiniana.
Questo processo di cooperazione divergente si è manifestato non solo nell’economia ma anche in altre scienze.
Considerati i limiti e le cause della cooperazione divergente, la cooperazione convergente comporta invece una pari crescita della componente soggettiva e di quella oggettiva sopra analizzate. Questo assunto è ancor più rilevante in un contesto culturale frammentato come quello postmoderno.
L’efficienza da considerare per distinguere le tipologie di cooperazione è quella produttiva, e si sviluppa quando si forma una cooperazione tra soggetti, e deve essere di tipo convergente per essere massimizzata.
In un rapporto di convergenza possono prevalere dinamiche endogene (tecnologia più avanzata in un settore) o esogene (politiche che favoriscono un settore, anziché un altro, comportandone un assorbimento).
La cooperazione convergente è il fattore che garantisce la produttività, il cambiamento, il comune direzionamento.
Asimmetria informativa
Condizione che si verifica nel mercato quando uno o più operatori dispongono di informazioni più precise di altri. In generale, interferisce con il buon funzionamento dei mercati (efficienza economica), portando a situazioni di sotto utilizzazione delle risorse disponibili. L’asimmetria informativa, infatti, può indurre l’operatore meglio informato a comportamenti opportunistici (azzardo morale). Questi comportamenti portano, per esempio, al razionamento del credito da parte delle banche, all’impossibilità di ottenere copertura assicurativa completa a prezzi equi, a una minore occupazione oltre che a maggiori disuguaglianze correnti. In presenza di asimmetrie informative la produttività dipende anche da fattori di rischio, pertanto il sistema economico raggiunge solo un uso delle risorse di second best.
L’asimmetria informativa genera questo tipo di conseguenza anche quando non sia associata a opportunismo, ma semplicemente a selezione avversa: una variazione dichiarata delle informazioni (es. quelle contrattuali) pone alcuni soggetti economici di fronte ad una oggettiva condizione di svantaggio, obbligandoli ad uscire dal patto stipulato o dal mercato di riferimento, oppure crea barriere all’entrata o degrado nel mercato. Esempio tipico è quello del rivenditore di auto usate. Nel mercato delle automobili usate, gli acquirenti spesso non sono consapevoli se stiano operando l’acquisto di un’automobile ben mantenuta o di un “bidone”, quindi saranno disposti a pagare un prezzo compreso tra quello delle automobili “bidone” e quello di automobili “valide”. Se gli acquirenti disponessero di informazione perfetta, conoscerebbero con certezza il valore dell’auto, e pagherebbero semplicemente una somma eguale a tale valore. I venditori (che conoscono la qualità delle automobili) saranno meno disposti a vendere auto “valide”, poiché il prezzo accettabile per gli acquirenti è troppo basso, ma venderanno più “bidoni”, perché su questi fanno un ottimo affare. Gli acquirenti si accorgono di questa tendenza e non sono più disposti a pagare il prezzo di prima. Il prezzo scende sempre di più e questo incentiva la tendenza dei venditori a offrire in commercio sempre più “bidoni” (ossia un second best). Nel caso estremo, le auto “valide” non sono vendute affatto, mentre i “bidoni” dominano il mercato.
L’asimmetria informativa può essere affrontata con un’autorità di vigilanza, un’agenzia di rating, ecc. Ogni soluzione ipotizzata presenta però alcuni limiti: nello specifico, il problema del conflitto di interessi e la frode benevola. Mentre del conflitto di interessi esiste una corposa letteratura, la frode benevola è un comportamento frutto di nuove analisi socio-economiche.
Disuguaglianza e mobilità sociale
Come detto nel tratto della curva EB, siamo in presenza anche di una forte disuguaglianza sia economica che sociale che impedisce l’innescarsi di meccanismi di mobilità sociale che possano permettere a tanti produttori di nuova conoscenza di divenire il nuovo ceto medio, l’ossatura, di un paese.
La disuguaglianza economica(nota anche come divario tra ricchi e poveri, disuguaglianza dei redditi, disparità di ricchezza, o differenze in ricchezza e reddito) comprende le disparità nella distribuzione del patrimonio economico (ricchezza) e del reddito tra gli individui di una popolazione. Il termine, di solito, si riferisce alla disuguaglianza tra individui e gruppi all’interno di una società, ma può anche denotare disuguaglianza tra paesi. La questione della disuguaglianza economica è collegata alle idee di equità, uguaglianza di risultato, e uguaglianza di opportunità. Esistono pareri discordanti sull’accettabilità morale e sull’utilità della disuguaglianza, e su quanta disuguaglianza sia necessaria o tollerabile in una società, e su come ci si debba comportare. Sostanzialmente, le opinioni di valore sulla disuguaglianza possono assumere una triplice veste. Da un lato, vi è chi elogia la disuguaglianza come necessaria e utile poiché fornisce uno stimolo proficuo alla crescita economica, in quanto innesca una benefica competizione, individuale e collettiva, tra soggetti diseguali: questo processo, però, può esprimersi solo a condizione che gli operatori si muovano in una situazione di libero mercato, priva di significativi condizionamenti e interventi pubblici. D’altro canto, vi è chi, pur auspicandone il superamento, considera la disuguaglianza come un elemento congenito alla stessa natura del sistema capitalistico, necessario al suo funzionamento: sarà lo stesso sistema capitalistico a determinare il superamento quando si producano laceranti disparità economiche e sociali. Vi è, infine, chi la considera invece come un problema sociale ed economico, soprattutto quando raggiunge particolari intensità: secondo questa visione, politiche di contrasto alla disuguaglianza si ripercuotono positivamente sull’intero sistema economico e sociale e non solo su coloro i quali sono gli immediati beneficiari di quelle politiche. Quest’ultima opinione, da un punto di vista economico, può essere ricondotta a un pensiero di matrice keynesiana; dal versante politico, è ricollegabile a una politica di tipo socialdemocratico. La disuguaglianza economica varia tra le società e nei diversi periodi storici: tra strutture o sistemi economici (come capitalismo e socialismo), guerre passate e future, differenze nella capacità degli individui di creare ricchezza, sono tutti fattori in grado di generare disuguaglianza economica. Esistono diversi indici numerici per misurare la disuguaglianza economica. Il coefficiente di Gini è un indice molto usato, ma ci sono anche molti altri metodi.
Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo.
La disuguaglianza socialeè una differenza (nei privilegi, nelle risorse e nei compensi) considerata da un gruppo sociale come ingiusta e pregiudizievole per le potenzialità degli individui della collettività. È una differenza oggettivamente misurabile e soggettivamente percepita. Gli elementi che la compongono sono le differenze oggettive esistenti, ossia il possesso minore o maggiore di risorse socialmente rilevanti. Le differenze sono conseguenza dell’azione di meccanismi di selezione sociale più che del merito e sono interpretate dai soggetti e dai gruppi sfavoriti (o da coloro che li rappresentano) come ingiuste; il ritenersi vittima di ingiusta discriminazione è una componente soggettiva.
Per mobilitàsociale si intende il passaggio di un individuo o di un gruppo da uno status sociale ad un altro, e il livello di flessibilità nella stratificazione di una società, il grado di difficoltà (o di facilità) con cui è possibile passare da uno strato ad un altro all’interno della stratificazione sociale ossia la pluralità dei gruppi sociali presenti all’interno della società con ruoli diversi e diverso accesso alle risorse. Sono stati alcuni grandi del pensiero liberale (Tocqueville, Stuart Mill e Pareto) a richiamare l’attenzione sull’importanza della mobilità economica e sociale, cioè sull’indipendenza del futuro di ciascuno dalle condizioni alla nascita e nei primi anni di vita. Quell’indipendenza rappresentava il segno del definitivo superamento dell’Ancien Régime, una garanzia di democrazia e di equità. La stessa efficienza economica ne avrebbe tratto beneficio perché, finalmente, chiunque fosse stato dotato di qualità avrebbe potuto dare alla società e all’economia un contributo appropriato a quelle qualità, anche se per sventura la sorte avesse scelto di assegnarlo a una famiglia svantaggiata. Il capitalismo e il mercato sono stati considerati come gli strumenti attraverso i quali questo progetto di mobilità sociale ed economica, giusta ed efficiente, potesse essere correttamente realizzato.
Conclusione
Forniamo in conclusione una nostra Mappa della Conoscenza al fine di dare una visione d’insieme e completa di questa Dotazione di Risorsa che ci permetta di orientarci nell’ambito della relazione fra Conoscenza ed Economia.